ARTE E TRADIZIONI
Il patrimonio culturale immateriale di Piedelpoggio
Poesie e Opere
Un viaggio emozionante attraverso i versi dei poeti locali e le opere letterarie che raccontano la storia e l'anima di Piedelpoggio.
La Pastoral Siringa
di Angelo Felice Maccheroni (1803-1888)
Chi era Angelo Felice Maccheroni
Angelo Felice Maccheroni era un pastore e poeta del centro Italia, originario di Piedelpoggio (RI). Le sue date sono spesso riportate come nato nel 1803, morto nel 1888.
È ricordato soprattutto per il suo lavoro poetico in ottave, in particolare l'operetta in ottave La Pastoral Siringa (in 7 canti). L'opera è un documento letterario ispirato a un "verismo rusticale": descrive la vita del pastore transumante tra gli Abruzzi e la Campagna romana nella metà dell'Ottocento.
Le sue ottave sono caratterizzate da assonanza baciata sovrapposta alla rima alternata, uno stile particolare che è rimasto come tratto distintivo.
Importanza culturale
Angelo Felice Maccheroni è un esempio di poeta pastore, figura che unisce la dimensione pastorale e rurale con l'espressione poetica. Il suo lavoro mostra come la vita contadina e la transumanza possano essere portate nel dettato poetico.
Le sue opere sono studiate nell'ambito della letteratura popolare e regionale del XIX secolo nel centro Italia. Il suo stile "maccheronico" lo rende distintivo e riconoscibile nelle tradizioni poetiche locali.
Opere principali
La Pastoral Siringa (1848)
Operetta in ottave contenente 218 pagine, con le avventure dei pastori
La Vita del Cappuccino San Giuseppe da Leonessa (1865)
La Presa di Roma (1873)
Mo' Revengo
di Alberto Rauco
Sbocciavanu li gij a Vallulina
paura pe' le casi 'lla mattina
girava pe' le stradi la Rusina
co' li tedeschi armeno 'na decina.
Fijoma a lettu a piagne pe' la fame
mojoma Martina a fa' lo pane
venerdì Santu,mute le campane
io zittu da 'na parte ad aspettane.
Quanno a un trattu e già me lo sintìa
quarcunu bussa jò la porta mia
fijoma ancora piagne,core mia
avoja a piagne senza papà tia.
Mojoma,tutta sporca de farina
me se reguarda senza fa 'na mossa
"mo chi sarà cuscì de bon matina"
Martì-je dico véssa è Rusina.
Mò revengo Martì,tu fa lo pà
Mò revengo Martì,non t'appaurà
Mò revengo non je so fattu cosa
Mò revengo damme un bacittu a Lisa.
Pò ce portaru la pè le Fossatelle
lu mitra già puntatu là le spalli
po' ce spararu senza batte ciju
era fioritu pure lu spruviju.
Me revidi cò un lampu tutta casa
viddi mojoma e Lisa su la porta
soroma parimu e mamma morta
viddi Leonessa pe l'urdima vorda.
No' revengo Marì,non m'aspettà
No' revengo Marì,non t'accorà
Nò revengo,ma ha da fà 'na cosa:
"Insegna ad amà la gente pure a Lisa"
Nota: Poesia autentica di Alberto Rauco scritta in dialetto locale, che racconta una storia drammatica legata al periodo della Seconda Guerra Mondiale.
Ciao Marta
di Orietta Paciucci — 25 dicembre 2012
Abitavamo un'altra stagione
la Spensieratezza era il nostro luogo
Piè del Poggio il nostro amato borgo
lo Sciamare libero sui prati
la merenda a Carpineto e sul Pratale
l'escursione clandestina sulla Crocetta
la domenica il coro in chiesa
le prediche di don Giovacchino
le matte risate
imitare i grandi
le prime funeste sigarette
le prime ansie d'amore
le “cotte” improbabili
i tuoi corteggiatori
il giuoco di farsi belle
i tuoi fiocchi
il tuo chignon
le nostre cotonature impossibili
eri maestra di pettine e lacca
la tua 1100 verde
l'emancipazione,
con te al volante
le prime escursioni “fuori porta”
e poi
le prime piogge
il primo freddo
trovare rifugio in vecchie scale
oggi scomparse
i tuoi maglioni
la lana gatto di Maria
altre sono state le stagioni,
l'ultima
sofferente
dolorosa
avevamo perso
la complicità
la leggerezza
ci eravamo perse
gravate dalle
macerie dentro.
Ciao Marta
Poesie di Antonio Pietrolucci
Antonio Pietrolucci è stato un poeta locale che ha dedicato la sua vita a raccontare attraverso i versi la bellezza e le tradizioni di Piedelpoggio e del territorio circostante.
Ritorno a Piedelpoggio
Il fascino del verde e quelle cime
Il tempo andato in mente fan tornare,
Più avanti lo diranno le mie rime
Quanto i miei pensier fanno sognare,
Riportano d'incanto le mie stime
Fra valli ombrose e boschi da ammirare,
Tra mille siepi e tanti campicelli,
Ove i tramonti sembrano più belli.
Fra questi dimora Piedelpoggio,
Frazione antica dell'alta sabina,
Primeggiano il cerro e l'alto faggio,
La nocciola, il corniolo e l'uva spina;
Luogo ameno in territorio Poggio
E quel di Cambio il produttor di brina,
E' il mio paesel nativo, tanto caro,
Comune di Leonessa montanaro.
Lo rivedo cosi' dopo il Tascino
Dalla statale, sopra a Selva Piana,
Coi tetti marroncini in fila indiana,
Con la chiesetta e il campanil vicino,
Cinto di verde che ristora e sana.
S'accede ormai da tempo da Riovalle
Lasciando la maestra alle mie spalle.
Fra siepi, prati e campi, in ogni lato,
Muovendo verso l'alto per la via,
Ritrovo alla sinistra presso un prato
L'immaginetta dedita a Maria.
Più avanti sulla destra in triste stato
'Na fontanella spesso in carestia;
Il nome suo è la fonte La Moglia,
Ma bere acqua qui passa la voglia.
Poco più avanti ecco il cimitero
E qui fermo il mio passo mestamente,
Mi si rattrista l'animo e il pensiero
Per quanti mi ritornano alla mente;
E quei che, pur restandomi mistero,
Fù fra color che fé la nostra gente.
Una prece per lor con pio fervore
Esprime il sentimento, insieme al cuore.
Passo la via che porta all'aquanella
Avanti ancora un vecchio cascinale,
Al paesello ei fa da sentinella
A star col nome suo, ch'è Roteale,
E nell' andar in questa parte e in quella
Rivedo l'aia fatta tale e quale,
Ma solo i segni dove s'è trebbiato
Il buon grano da tempo seminato.
Fra siepi verdeggianti in linea retta
Raggiungo alfine il paesel natio,
E giungo pur innanzi alla chiesetta
Ove un bel dì fui battezzato anch'io;
Non posso non frenare la mia fretta,
Per appagare un altro mio desio,
Di visitar con tanta nostalgia
Del Cerreto la Vergine Maria.
M'avvio felice in mezzo l'abitato,
Dimora de ste genti montanare,
Di settembre me lo ricordo ornato
De tante fascinette a soleggiare.
Nella piazzetta attigua e ad ogni lato
Sentivo lu ferraru a martellare.
Nella patria dei Lalle e dei Paciucci
Dei Boccanera, i Risa e i Pietrolucci.
Piedelpoggio, settembre 1991.
La Fonte Vecchia
Passante, che ten vai per la tua via,
Cittadin di villa Piedelpoggio,
Volgi l'occhio benigno, in fede mia,
Su sta fonte povera di sfoggio:
Essa disseta spesso in sintonia
Mucche, vitelli, pascolanti in poggio
Asini pigri, a volte col fardello,
Diretti alla montagna o nel paesello.
la fonte vecchia, dice il popolino,
Ha un'acqua sempre fresca e salutare,
Pe li mulinelli è quasi un zuccherino
E pei bardasci luogo per giocare.
li giovanotti poi, segna il destino,
Venivano a suo tempo a passeggiare,
Per incontrar la teccara del cuore,
Per rubacchiare un attimo d'amore.
Bevila dunque, L'acqua de 'sta fonte,
come han fatto i nostri del passato;
Pura e sincera viene giù dal monte
E' come da sempre, è dono del creato.
Pace e serenità sono qui pronte
A ricolmarti l'animo provato.
mira, passando, questa dolce valle.
Piedelpoggio 25 settembre 1987.
I Prati della Fonte
Quando è maggio, sui prati della fonte
Peri e meli son tutti ricamati.
Le primule in campo son già pronte
A pinticchiar di bianco e giallo i prati,
I passeri cinguettano gioiosi
Fra i rami di quegli alberi festosi.
Quando è giugno, che il verde è ritornato
Sui cerri, sull' albuccio sul fosso,
Sui noci, gli orti e su ogni prato,
Ove s'annida il mite pettirosso,
Le rondini svolazzano felici
Da sopra i tetti verso le pendici.
Quando è luglio, ch'è tutto rinverdito,
Da sotto i noci s' ode un gran vociare,
Son tornati i ragazzi in questo sito
A correre felici per giocare;
Son tornati con le biciclette
Sul ponticello insieme all'amichette.
Ritorna agosto il mese delle feste,
E la vallezza è tutta in movimento,
Son grida di gioia e di protesta
Per tante gare giuste all'argomento,
Gare per grandi, giovani e bambini,
Uomini donne e di concittadini.
Leonessa
(Il mio paese)
Ecco Leonessa, cittadin primiera
Di queste antiche parti montanare,
Con mura erette un di' come barriera
Sul colle la sua torre ad osservare,
Strade e palazzi, posti in bel maniera,
le chiese e la sua piazza da ammirare.
La porta Spoletina e l'Aquilana
La resero nel tempo più sovrana.
Il vasto territorio in altipiano,
Ornato dai bei monti del Reatino,
Fra questi il Tilia e il Corno non lontano,
Il di Cambio ed il Cambio nel mirino,
e Vallonina, a detta di un profano,
La bella valle madre del Tascino;
Muovendo verso l'alto il piè tranquillo
La via tortuosa porta al Terminillo.
Questo bel territorio è ricamato
Da verdi boschi, prati e campicelli,
Da più senteri fatti nel passato
Sovente a fianco a limpidi ruscelli,
Da trentasei frazioni è disegnato,
Diviso in sesti al tempo dei castelli,
Quello di Corno e di Forcamelone
Di Poggio, Croce,Torre e di Terzone.
Leonessa, settembre 1944.
Il Fornetto
(Dolci Ricordi)
Con nostalgia ripenso a quel fornetto
Che delle Pantanelle è il vicinato,
Un luogo caro a molti, è presto detto,
Per le sue attività del tempo andato,
Mi ci recavo un dì da monelletto
Con altri e mia sorella accompagnato,
Per guadagnare un poco di pizzetta
E andare tutti insieme giù in piazzetta.
Ricordo il crepitio delle fascine,
La nonna Benedetta affaccendata
Insieme ad altre donne sulle spine
Per preparare in tempo l'infornata,
Le bianche pagnottelle sopraffine
Croccanti, profumate di giornata,
E la squisita pizza scrocchiarella
E per le feste pure la castella.
Non posso non parlar di quel pagnotto,
Ripieno di melucce saporose,
Il pane di polenta appena cotto
E le peruzza al forno più sfiziose,
Con quel profumo ricco e galeotto
Che si spandeva in aria e nelle cose,
Nei vicoli e dintorni seducente
Muovendo il curiosare della gente.
Così 'sto vicinato dopo cena
Si tramutava in centro d'allegria:
Bambini e banbinette a voce piena,
Ragazze e ragazzette in euforia,
I giovani e ragazze nell'arena
A parlottare in dolce compagnia;
Così ogni tanto fino a tarda notte,
Sperando d'assaggiar le pere cotte.
M'è caro rimembrar del tempo andato,
Ancor di più per questa dolce villa,
Della vita, l'usanze, l'abitato,
Le gioia i desideri che l'assilla.
Ridà speranza al cuor questo passato,
Ai miei pensier riaccende la favilla;
Ma quell'impronta lì, che sta sul muro,
E' del fornetto, ormai senza futuro.
Piedelpoggio, ottobre 1992.
Una Notte di Cinecittà
Concetta è un anno, e un altro quasi intero,
Ch'io ti incontrai sul ponte del Tascino.
D'allora fu colpito il mio pensiero
Unendosi così nel mio cammino;
Si pose dolce, colmo di mistero,
Nel fondo del mio cuor senza declino,
Ma anzi crebbe, come cresce un fiore,
E dopo un anno è diventato amore.
Codesto amor racchiuso dentro al petto
Sento che da conforto al mio penare,
Son prigionier da un mese maledetto
E non son certo di poter scappare;
Con nostalgia ripenso al paesetto,
Alle serate accanto al focolare,
Insieme ad altri in lieta compagnia
In casa di Carluccio e di tua zia.
Il campo e buio, cupo, sai, Concetta,
Mentr'io son desto e non posso dormire.
La sentinella armata è li in torretta,
Pronta col faro, pronta a intervenire,
Il tempo passa lento, mia diletta,
Con esso il freddo più si fà sentire;
Mi stringo al collo il fazzoletto, sai;
Dal cinque aprile non lo lascio mai.
Roma, 8 maggio 1944.
Serenata A Piedelpoggio
In questa notte tutta ricamata
da più di mille lampade d'argento
Son qui venuto a far la serenata
A una donnina che mi dà tormento
La prima volta che l'ho rimirata
Fu alla Natale al tempo del frumento,
Ricordo ero con Checco,Orlando e zia
E la franchina, a spigolar via via.
E' una biondina dagli occhi di mare
Dal volto dolce e calmo d'espressione,
E' una donnina che mi fa sognare
Di giorno e pur di notte, con passione,
Ecco perchè per lei vorrei cantare
Nei vicoletti presso il suo rione,
Fra gli orti più vicini al caseggiato
Per dire a lei che sono innamorato.
Vedo la luna verso San Clemente
Passar su Villamania in Vannicola,
Sui prati della corsa senza gente,
Sui boschi di cerro alla vignola,
Poi giunge in Piedelpoggio più lucente,
Tetti e camini lenta lei sorvola,
Finché coi raggi imbianca anche il Pratale.
O bianca luna, sento un venticello
Che dolce s'è levato sul sentiero,
Vorrei che si portasse a vol d'uccello
Sulla finestra sua,cosi' io spero;
Vorrei condurla a riva di un ruscello
Fra l'erba folta, fatta di mistero,
Per raggionar con lei solo d'amore
E fargli udir i palpiti del cuore.
Torna Maggio
Dalla finestra mia lontano miro
i colli,i campi,tutti ricamati,
e mentre su di loro gli occhi aggiro
il sol l'indora coi suoi raggi amati,
raggi caldi che allietano le genti
e gli esseri che in terra son viventi.
Ritorna maggio,il mese più giocondo,
ei fa fiorir tutta la natura,
i più bei cori fa cantare al mondo
dalla più fresca estate alla matura,
Tutto rinnova,tutto fa più bello,
Persino il mare,il cielo,il venticello.
Eccolo il mese tutto profumato
Dalle tante rose e bianchi campanelli,
Ecco maggio tutto ricamato,
da verdeggianti e limpidi ruscelli,
Ecco il mese ricco di lavoro,
Eccolo maggio dai tramonti d'oro.
Roma 1 maggio 1937.
Il Sette Aprile 1944
(Perchè i giovani sappiano e gli anziani non dimentichino)
Vola misiva mia da 'sta prigione,
T'affido i miei pensier colmi di pene,
Ti porti il vento come l'aquilone
Sopra i tetti reatini, e ti conviene
Puntar su porta Cintia a gran carriera
Per la campagna in su verso la spera.
Su Cantalice volgi la tua prora,
Solcando campi e vigne sul tuo fronte,
Passa nocchieri e cerri in questa aurora
E gli alti faggi di Cima di Monte,
Quando sul prato ch'è dell'osteria
Scendi più a valle, sulla bianca via.
Fra i sassi li vi scorre anche un torrente,
Che a balzi viene giù da Vallonina;
Ti condurrà con se verso la china,
Ti guiderà nel fare il suo cammino
Innanzi al più bel quadro del Tascino.
Vedi: è Leonessa, la città primiera
di queste antiche parti montanare,
Patria di gente semplice e sincera,
Laboriosa e di virtù assai rare;
Della sua storia ognun scorge le prove
Nelle chiese, nei palazzi e in ogni dove.
Da otto giorni la bufera infuria
In lungo e in largo su quest'altipiano;
Truppe tedesche piombate con furia
Sulle frazioni e sul suo centro urbano,
Razziando e deportando in tutti i siti,
Come se fosse il tempo dei banditi.
Povera citta mia martirizzata,
Son ventitre i sui figli assassinati,
Tre a Vallunga, dodici a Cumulata,
E tanti, tanti giovani arrestati;
Che fine mai è riservata ad essi?
Altri delitti ancor verran commessi?
Quei barbari assassini sanguinari,
Con sul petto l'emblema dei nazisti,
Han gettato terrore senza pari
Guidati qui da servitor fascisti;
Chi mai potra quel di' dimenticare?
Il sette april,chi lo potra scordare?
Da questo vecchio ponte del Tascino
Grida missiva mia senza timori,
Gridalo a tutti: no! non fù il destino!
Al bando quei fascisti traditori!
Gloria ai martiri di questa Città
Caduti per la nostra libertà!
Rieti, 8 aprile 1944.
La Stalla
Fu stalla 'sto locale e fù cascina
Della nonna Lucia dei carettini,
Ed ospitò nel tempo Morettina
Nebbia, Maese,vitelle e vitellini;
Fini' la serie proprio Morosina,
'Na bella vaccarella coi recchini,
Nun ce mancò lu giogu e la cumera,
La pertecara in legno, quella vera.
Poi quanno ce mancò zi Santarella,
La prima erede de li Pietrolucci,
Lu tittu fattu a travi de 'sta stalla
Se sprofonnò, lascianno fra i pasticci
Er sottoscritto, a cui toccò la palla;
E pé levamme poi da quell'impicci,
Feci ricorso ,pé non pagà lu scottu,
A un muratore erede de Pancottu.
Non posso non parlar di papà mio,
Di quanti prati in vita s'è falciato
Pé riscattà 'st'ambiente,lo sa Dio,
Questo diceva mamma nel passato,
Più tardi poi me lo ricordo anch'io,
Qui ci allevò Martuccia nel suo stato:
Tre pollastrelli e quattro gallinelle,
Insieme ai cupitini e sue storielle.
Lu tiempu passa e fila indifferente,
De sopre se riempì de robivecchi,
casse, cassette,fiaschi senza gnente,
Bidoni, bidoncini ed altri secchi,
Reti, brande, poltrone e mancorente,
Maniglie, catenacci e certi specchi,
Tutto da sembrare un vecchio emporio
Roba pe le messe a San Gregorio.
De sotto, su la lunga magnatora,
sassi, mattoni, coppi e mattonelle,
Più casse, cassettoni pe' signora,
porte, portacce, vasche e catinelle,
Legna da fuoco e ciocchi, come allora,
Pezzi de fero uniti a catenelle.
tutti 'sti impicci, che non so' de carta,
So' dell'eredi della sora Marta.
La vendita de selve in comunione,
E de ste casse ritornate a galla,
procurano agli eredi l'occasione
De ragionà pé risanà 'sta stalla,
E con progetto chiesto in commissione,
Che rispedisce tutto a Santacalla,
L'aiuto c'è dei giovani valenti,
Che der progetto sono arcicontenti.
Con l'intervento d'un maestro coi galloni
Che te refà lu tittu e la trasanna,
Solaru de travitti e tavelloni;
De sotto, se la mente non me 'nganna,
lu piancitu de cocci e de mattoni
rempastatu de cargia a mo' de panna,
Diviso poi da quattro cantinelle
Pé li fratelli e pé le du sorelle.
Si fà di sana pianta 'na scaletta
tre finestre di pino, il gabinetto,
Un angolo cottura in linia retta,
Mattonato di legno e caminetto,
Si riscopre cosi' pa pia ricetta
Di essere più initi, è presto detto;
Grazie alla stalla, grazie a Gazzelone,
Che son riunite qui tante persone.
Piedelpoggio, settembre 1993.
Tradizioni Antiche
Riti secolari, celebrazioni festive e usanze tramandate di generazione in generazione che mantengono viva l'identità della comunità.
Le Aste Pubbliche
La "Candela Vergine"
Le aste pubbliche erano indette dal consiglio delle università e potevano essere di diverso tipo a seconda della loro finalità:
- Asta con lecitazione privata
- Asta con banditore
- Asta con candela vergine
La prima veniva adottata soprattutto per la vendita del taglio boschivo e delle erbe. Secondo una prassi burocratica tuttora vigente si procedeva ad invitare un numero limitato di ditte, le quali erano tenute a presentare un'offerta sigillata contenente i propri requisiti.
Più antica la prassi della "candela vergine", ancora oggi praticata da alcune università agrarie. Essa consisteva nell'accensione di una candela - poi sostituita con i "prosperi", fiammiferi di grosse dimensioni - che rimaneva accesa finché non si levasse una voce di offerta maggiore.
L'asta aveva termine solo al totale spegnimento della candela vergine. Qualora per la durata di tre candele non vi fosse stata alcuna offerta, l'asta veniva considerata deserta.
Nota storica: Nell'asta con banditore, vi era un addetto alla convalida e all'aggiudicazione dell'appalto, l'aggiudicazione veniva successivamente pubblicata sulla gazzetta ufficiale dello stato.
Vece di Sotto e Vece di Sopra
La Rotazione delle Colture
Così veniva chiamata la pratica della rotazione delle colture tra il piano e le montagne - definita appunto "vece di sopra e vece di sotto", per indicare l'avvicendamento del turno.
Questa antica pratica agricola consisteva nel lasciare ogni anno una delle due zone al pascolo e quindi a riposo da ogni semina, permettendo così al terreno di rigenerarsi naturalmente.
Sistema di rotazione: L'alternanza tra "vece di sotto" (zone pianeggianti) e "vece di sopra" (zone montane) garantiva la sostenibilità dell'agricoltura locale e la conservazione della fertilità del suolo.
La Fida Pascolo
Antica Consuetudine per il Pascolo del Bestiame
Alcune frazioni mantengono ancora oggi nel proprio territorio comune l'antica consuetudine della tassa per il pascolo del bestiame, anticamente definita 'fida pascolo', finalizzandola però al recupero di fondi da riutilizzare a vantaggio della frazione stessa.
Secondo questa antica consuetudine di origine medievale all'Università competeva il dominio diretto sui demani e ai cittadini il dominio utile gli usi civici su di essi, e fu particolarmente forte nel Mezzogiorno d'Italia, tanto da radicare il cosiddetto "jus receptum", ossia il diritto da parte di un proprietario, di ospitare forestieri nel proprio territorio. Si trattava di una licenza che il Comune ospitante concedeva sui propri demani e la sua efficacia era subordinata all'effettivo dominio che il Comune esplicava su quei territori.
Questa licenza prendeva il nome di "fida" o "jus di fidare" cioè di concedere l'uso di un territorio da parte di un legittimo proprietario a coloro che non avevano alcun diritto su di esso. Sin dall'epoca della confinazione dei monti e del piano l'Università di Leonessa impose sempre la tassa di fida a tutti coloro che intendevano portare il proprio bestiame al pascolo sulle montagne chiamate per questo luoghi affidati, ma da essa furono esenti i cittadini, che come tali avevano il diritto di usarne liberamente.
L'esazione della tassa di fida veniva spesso ceduta in appalto ai sestieri i quali ne riportavano i risultati sui libri dei conti compilati dai Camerlenghi e sui "Capitula fídarum". Dall'analisi di questi documenti, in gran parte trascritti dal Ciucci, De Rensis poté verificare che la tassa veniva imposta prevalentemente sugli animali forestieri, non di rado provenienti dall'Agro Romano durante la stagione calda, sebbene ad essa fosse soggetto anche il bestiame dei sestieri ai quali tuttavia l'Università concedeva di mantenere il reddito ottenuto dalla vendita delle erbe estive.
Se la motivazione di base della fida pascolo fu l'esigenza del Comune di raccogliere mezzi finanziari per coprire le spese pubbliche, gli eventi che seguirono ne mutarono totalmente la natura. Infatti, in seguito al varo di alcune leggi sui demani - le leggi eversive della feudalità, quelle per la divisione dei demani, e la legge sull'amministrazione civile del 1816 - la fida, intesa in origine come licenza di entrata da parte del bestiame forestiero nel territorio di Leonessa, divenne la tassa generale da pagare per l'uso civico di pascolo.
La causa dell'estensione della tassa anche ai cittadini è da ricercarsi nella condizione di deficit finanziario in cui il Comune di Leonessa venne a trovarsi nei primi anni del 1800; l'introito garantito dalla fida, unito a quello derivante dalla tassa sul macinato avrebbe, se non risanato, per lo meno contribuito ad attenuare gli effetti negativi della crisi economica.
Già nei primi anni Cinquanta, con l'ottenuta amministrazione separata dei propri territori da parte delle sei frazioni interessate, la fida pascolo subì un ulteriore sostanziale trasformazione delle sue funzioni; essa divenne una sorta di 'autotassazione' ad esclusivo beneficio degli utilisti delle frazioni amministrate dalle Università Agrarie i quali versano ancora oggi un contributo che va nelle casse dell'Amministrazione.
Testimonianze
Racconti di vita quotidiana e ricordi preziosi che documentano la trasformazione del paese nel corso del tempo.
Don Gioacchino Bella
Testimonianza sui fatti del 31 marzo e 4-5 aprile 1944
Quando l'altopiano di Leonessa fu occupato dalle "SS" tedesche
Era il 31 marzo 1944; in quell'epoca si festeggiava Maria SS. Addolorata (era il venerdì di passione). La nostra chiesa era piena di fedeli, fra cui molti sfollati romani. Terminata la Messa solenne, tutti tornarono alle proprie abitazioni ed io, circa venti minuti più tardi, uscii di casa.
In paese notai un completo deserto e fui informato che gli uomini validi erano tutti fuggiti in montagna, in quanto un piccolo esercente del luogo, soprannominato Pasqualone, mentre lavorava nei campi, aveva notato verso San Clemente una colonna motorizzata di militari tedeschi, ed era corso a dare l'allarme.
Tornai subito in casa e, dopo poco, entrò in canonica un militare delle "SS" tedesche armato di mitra; istintivamente capii che l'intruso voleva perquisire la casa parrocchiale, ed io lo invitai con un cenno a fare ciò che voleva.
Uscito dalla canonica, il militare proseguì l'ispezione nelle abitazioni adiacenti con altri militari delle "SS" che attendevano fuori; è da sottolineare che uscivano dalle case sempre con qualche refurtiva fra le mani.
Sulla piazza principale del paese sostavano alcune donne anziane, le quali notarono che quei militari, intenti a perquisire le abitazioni, quando arrivarono davanti alla casa di una certa Rita, salirono la scala sino alla sommità, senza aprire mai la porta, e poi tornarono indietro. La cosa accadde tre volte, con tre militari diversi e, a ripensarci, mi si accappona la pelle, perché in quella casa vi erano nascosti viveri ed armi dei partigiani e, se quei militari fossero entrati, sarebbe successo l'irreparabile per gli abitanti e per il nostro paese.
Il 5 aprile, verso le ore 8,30, la frazione fu nuovamente invasa da molti militari delle "SS" armati di tutto punto, che circondarono il paese e chiusero ogni via di accesso. Il comandante, un capitano, prima fece radunare tutti gli uomini nella piazza principale, e poi, disceso dalla camionetta, ordinò a tutti di disporsi in fila per tre.
Scelse dieci tra i più giovani e li dispose allineati presso il muro della casa di Rita; quindi, risalito sulla camionetta, dialogò brevemente con un sottufficiale che fungeva da interprete, il quale si pose fra le due file degli uomini e disse ad alta voce: "A noi avere detto che a Villa Pulcini, a Monteleone, che qui essere ribelli, armi e munizioni. Ora, se non dire dove essere ribelli, armi e munizioni, noi fucilare questi dieci uomini".
Dopo momenti di esitazione da parte di tutti, risposi all'interprete: "Qui non ci sono ribelli, armi e munizioni; noi li abbiamo solo visti passare. Ci hanno minacciati e spaventati". Contemporaneamente, dai dieci si levarono delle voci, che anche altri erano stati spaventati e minacciati.
Quando la risposta fu tradotta al capitano, questi, molto adirato, discese dalla camionetta e scelse altri dieci uomini, arrivando così ad un numero di venti; ordinò ai suoi uomini di caricarli su un camion e, rivolto verso di me con il nerbo in mano, mi fece cenno di andare via.
I venti fermati furono poi chiusi nel carcere di San Francesco, a Leonessa, e il giorno seguente vennero trasferiti a Rieti e rinchiusi in un ospizio per gli anziani requisito dalle autorità di occupazione, in quanto le carceri erano piene.
Elenco dei cittadini di Piedelpoggio che nell'aprile 1944 furono deportati dai tedeschi nel campo di concentramento di Cinecittà - ROMA
| Cognome | Nome | Luogo di nascita | Data di nascita |
|---|---|---|---|
| Boccanera | Andrea | Leonessa | 3/7/1925 |
| Boccanera | Giuseppe | Leonessa | 4/4/1925 |
| Boccanera | Francesco | Leonessa | 8/1/1924 |
| Blandino | Angelo | S. Giovanni (AG) | 1924 |
| Cheno | Giovanni | Costanza (Germania) | 14/8/1910 |
| Lalle | Carlo | Roma | — |
| Lalle | Nicola | Leonessa | 31/5/1921 |
| Lalle | Antonio | Leonessa | 4/4/1919 |
| PaciUcci | Dante | Leonessa | 11/3/1916 |
| PaciUcci | Filippo | Leonessa | 3/8/1905 |
| PaciUcci | Giovanni | Leonessa | 1910 |
| PaciUcci | Silvio | Leonessa | 30/1/1912 |
| PaciUcci | Vincenzo | Leonessa | 26/7/1917 |
| Pietrolucci | Antonio | Leonessa | 16/9/1917 |
| Pietrolucci | Francesco | Leonessa | 18/2/1913 |
| Pietrolucci | Mariano | Leonessa | 1919 |
| Pietrolucci | Rinaldo | Leonessa | 27/4/1922 |
| Risa | Gilberto | Roma | 21/8/1924 |
| Risa | Tonino | Roma | — |
| Risa | Venanzio | Leonessa | — |
Furono liberati dagli alleati il 5 giugno, con la liberazione di Roma.
Il giorno 9 aprile (giorno della Santa Pasqua) seppi che erano stati rinchiusi nel campo di concentramento di Cinecittà, presso Roma. Scrissi subito una raccomandata alla ditta Scalera, che a Roma era alle dipendenze del Comando germanico per il servizio di trasporto materiali, narrando brevemente ciò che era accaduto il 5 aprile in Piedelpoggio, e supplicando di intervenire presso il Comando tedesco perché liberasse i miei venti parrocchiani.
Io ero entrato in contatto con il signor Scalera perché avevo ospitato il figlio dopo il bombardamento di San Lorenzo, a Roma, nel luglio 1942.
Dopo pochi giorni, mi risposero che i duecento uomini che le "SS" tedesche avevano rastrellato a Piedelpoggio, li avevano fatti passare per loro operai che lavoravano nei boschi di Leonessa.
Dopo circa una settimana, l'avvocato Trombetti, della ditta Scalera, mi fece pervenire una copia della risposta del Comando tedesco, che purtroppo ho smarrito.
Risposta del Comando Germanico: "Questo Comando Germanico della Città di Roma vi comunica che, in seguito alle vostre vive premure, è stata richiesta la liberazione degli operai fermati il 5/4/44 in frazione Leonessa e appartenenti all'organizzazione del Dott. Antonio Scalera. Il Comando Germanico è dolente di dovervi comunicare che per ragioni di indole generale non è stato possibile per il momento di concedere la liberazione di detti operai. Vi lasciamo però la facoltà di poter ripetere la vostra domanda fra qualche tempo."
Dopo alcuni giorni, a mezzo del suddetto intermediario, arrivò una terza risposta del comando tedesco, nella quale si diceva che era stata concessa la grazia di non portare i sequestrati dell'altopiano di Leonessa al nord.
Dal modo in cui si svolsero gli avvenimenti e considerato che i prigionieri tornarono sani e salvi alle loro case, dopo la liberazione di Roma da parte degli Alleati, la popolazione del paese ha voluto (con l'approvazione delle autorità ecclesiastiche) istituire una festa in onore di Maria SS Addolorata da celebrarsi ogni anno nel mese di agosto; in tale circostanza la popolazione stessa ha voluto porre una lapide a perenne ricordo dell'avvenimento con l'effige di Maria SS Addolorata nel luogo in cui i dieci uomini della frazione di Piedelpoggio avrebbero dovuto essere fucilati dalle "SS" il 5 aprile 1944.
Testimone: Don Gioacchino Bella, Parroco della Chiesa di S.Maria del Cerreto - Piedelpoggio, 8 dicembre 1992
Brigata Garibaldina "Antonio Gramsci"
"Con la liberazione di Leonessa, Poggio Bustone, Albaneto e le rispettive frazioni, la brigata garibaldina Antonio Gramsci, ha liberato circa 1000 kmq. di territorio migliaia e migliaia di lavoratori sono stati liberati dalla schiavitù nazifascista. Questo comando, mentre invita i cittadini a collaborare con i partigiani per le necessità delle popolazioni locali, rende noto che oggi 16.3.1944, il territorio di Leonessa e di S.Pancrazio (Narni), con i limiti di Rivodutri, Poggio Bustone, Albaneto, Castiglione di Arrone è considerato staccato da Rieti, Terni e Perugia, città dominate dai nazifascisti, ed unito al territorio di Cascia, Norcia, Monteleone. Per conseguenza la brigata garibaldina 'Gramsci', unica autorità esistente in detto territorio, che rappresenta la nuova Italia democratica, assume la responsabilità di fronte ai cittadini, militarmente, politicamente, e amministrativamente. I cittadini per le loro necessità sono invitati a rivolgersi ai rispettivi comuni e al comando della brigata, sito all'albergo ITALIA di Cascia."
Fonte: Dall'Enciclopedia dell'antifascismo e della resistenza (edizione la pietra) a cura dell'A.N.P.I. Terni
Maria Pia Paciucci
Da Piedelpoggio — di Maria Pia Paciucci
A spasso nel tempo con Emidio. Nell'estate 2013, tra i numerosi eventi organizzati a Piedelpoggio ce ne sono stati alcuni che ci hanno riportato indietro nel tempo: l'11 agosto il saggio Emidio ha raccontato, sotto il cielo stellato, la dura vita dei pastori, che dovevano affrontare giornate lunghissime: sveglia all'alba e a dormire non prima delle 23. Emidio, pastore bambino, doveva spesso dormire su un sasso e con l'ombrello aperto quando pioveva. Poi, la solitudine, consolata solo dal pensiero che prima o poi si sarebbe fatto ritorno a casa abbracciati dalle proprie famiglie e dagli amici più cari. Il giorno seguente, in un pomeriggio caldo e assolato, il nostro Emidio ci ha fatto anche rivivere tutto il procedimento per la preparazione della giuncata preparata accuratamente con il latte di mucca appena munto; grandi e piccoli hanno potuto assaggiare questo tipico prodotto dei nostri avi. Con la giuncata avanzata Emidio ha poi preparato una bella caciotta e la ricotta che ha poi distribuito a tutti i presenti.
La prova del cuoco. Il nove agosto più di 20 uomini di Piedelpoggio si sono cimentati nella preparazione dei “maltagliati”. Armati di mattarello, uova e farina, i nostri “cuochi” sono stati impegnati per più di un'ora ad impastare con le poderose mani gli ingredienti, per poi tirare la sfoglia. Tutti sono stati all'altezza della situazione al pari di tante donne che solitamente preparano in casa la pasta all'uovo e, dopo tanta fatica e tante risate, per cena maltagliati per tutti, conditi con pomidoro, basilico e parmigiano. Infine, anche 90, tra bambini e ragazzi, hanno partecipato al campo sportivo alla preparazione degli gnocchi. Tutti i bambini e i ragazzi che hanno preso parte all'iniziativa sono stati premiati e, insieme ai genitori, parenti e amici intervenuti, hanno potuto gustare un bel piatto di gnocchi.
Le tagliatelle di Marisa. Marisa, cuoca provetta, ogni anno fa la sfoglia (anche 90 uova) per tutti noi in Piazza Rosa. In Piazza si apparecchia e si gustano le tagliatelle o i maltagliati conditi con pomodoro, basilico e parmigiano. Gli applausi scroscianti a lei rivolti si ripetono ogni tanto. È molto bello stare tutti insieme come una grande famiglia.
Canzoni
Le melodie e i testi che hanno accompagnato momenti di festa e di lavoro, patrimonio immateriale della nostra cultura.
NU SIMU VINUTI
Nu simu vinuti co bona creanza sicunnu l'usanza la Pasqua a canta';
la' dentro na' stalla nasce' lu bambinu je manca lo vinu je manca lo pa';
la madre je canta l'ammocca e l'ammanna je fa ninna je da lu cocco';
e tellu vicinu ci sta S.Giuseppe raccoje le zeppe pe'fallu scalla';
li pori pastori chi abbacchi e ricotte chi'n po'de caciotte je viengu a porta';
e mo li Remaggi co tutti li fiocchi co doni e brillocchi lu viengu adora';
nu pure quaccosa ch'arrempe la panza sicunnu l'usanza vulimu assaja';
e se ve dispiace d'apri' la creenza d'apri' la dispensa putimo abbozza';
pero' 'n bocalittu de bona vinella co' Dio ve lassamo le forze d'Abramo l'eta' di Noe'.
Origine: Canzone tradizionale della pasquarella, cantata durante le festività natalizie
CE N'IMO CANTENNO
Ce n'imo cantenno pé ville e casali
dò stuò li boccali e bene se stà;
quassù li paesi pè chi 'n se lo cree
se magna e se beve e allegri se và;
ce stuò le trasanne co tuttu lu caru
ce sta lu somaru la vacca a rumà;
dereto le case ce stà nu stallittu
cò 'n bieju purchittu che tocca ammazzà;
se pò già ammazzatu va proprio a pennello
che mò 'n fegatello lu tocca assajà;
coraggio compagni sci e no se capimo
st'artranno rinimo la Pasqua a cantà.
Origine: Canzone tradizionale della pasquarella
LA PASQUETTA
La pasquetta de quist'anno
la canteremo alla norcina
la padrona va in cantina
la vinella a preparà.
Se so cotte le sargicce
butta jo li fegatelli
lu Bambinosta a Biselli
pure isso ha da magnà.
E lu trenu è ripartitu
è arrivato a seravalle
lu patrò 'mazza lu jalle
pure issu vò magnà.
Anche ni spensierati
per amor del Bambinello
le sargicce e un fegatello
e quattr'ova se ce so.
Buon felice Capodanno
ce vedremo quest'altr'anno
ce vedremo quest'altr'anno
per la solita occasion.
Origine: Canzone tradizionale della pasquarella, legata alle celebrazioni del periodo natalizio e pasquale
NEL PRESEPE
Nel presepe è nato Cristo io lo credo ma non l'ho visto ma ve dico cose nove fra di un asino e di un bove;
I pastori fanno festa che per causa man di festa quando l'era forestiera solo Erode si dispera;
Nel timore del suo regno tutta rabbia e tutto sdegno concertò dagli indovini fece uccidere i bambini;
Questa nostra canzonetta qualche cosa ci darete; O una pecora o un'agnella o una coscia di vitella ma sarebbe meglio speso un prosciutto di buon peso;
E sarebbero anche buoni un bel paio di piccioni quattro dolci e dodiciova tutta robba che se trova;
Vi lasciamo del buon anno pasquarella e capodanno.
Origine: Canzone tradizionale della pasquarella, cantata durante le celebrazioni natalizie
OGGI E' QUELLA GIORNATA
Noi vi vogliamo dire della gloriosa festa della corte celesta illuminata;
oggi è quella giornata che vinnero i tre Re che vinnero a vedé 'l nato bambino;
il redentor Divino dal cielo fu calato scamparci dal peccato a noi cristiani;
su su fratelli cari uniti con Maria e la vergine pia madre gloriosa;
e San Giuseppe sposa e di S. Anna figlia ognun per meraviglia l'ammirava;
e San Giuseppe stava onor di quello stato David era chiamato era un bel nome;
il ricco imperatore lo fece buttà 'l bando ognuno al suo comando fusse andato;
e S. Giuseppe e non gli convenia perché stava Maria per partorire;
e noi non siam viventi ve la vogliamo dà ve la vogliam lassa la Santa Pasqua.
Origine: Canzone tradizionale della pasquarella, racconta la storia della natività
ECCO PASQUA EPIFANIA
Ecco pasqua epifania
che ritorna in suoni e canti
per far festa a tutti quanti
con l'antica vecchierella
viva viva pasquarella.
là nel fiume del Giordano
ecco l'acqua diventa vino
per lavar Gesù Bambino
per lavar la faccia bella
viva viva la pasquarella.
I Re Magi dall'oriente
gli portaron un gran tesoro
c'era incenzo mirra e oro
con la luce di una stella
viva viva la pasquarella.
Se ci date un buon prosciutto
non importa se non è asciutto
lo cuociamo su la padella
viva viva la pasquarella.
Origine: Canzone dell'Epifania, celebra l'arrivo dei Re Magi
PUNTEGGIATE AMICA STELLA
Punteggiate amica stella che la pace sia con tutti
osservate quant'è bella di Gesu il dolce frut;
I signor di quella stella son partiti in personaggio
già si trovano in viaggio il Bambino a visitar;
dall'oriente son partiti già si trovano in cammino
per trovar Gesù Bambino i Re Magi ad adorar;
Baldassarri e Melchiorre gli han portato mirra e oro
per Gesù nostro tesoro i Re Magi ad adorar;
voi gente che sentite annunziate già ' mistero
non ci state tanto serio ci calasse un pò da ber;
se ci date 'na gallina non ci importa se t'è fina
ci faremo brodo bono viva Pasqua e l'anno Nuovo.
Origine: Canzone tradizionale della pasquarella, invoca la stella cometa
COMPATITECI SIGNORI
Compatiteci o signori se veniamo a disturbarvi cercheremo da rallegrarvi cò 'na bella novità;
Supponiamo che sapete dell'antica profezia promettenteci 'l Messia queto è vero è nato già;
Benche era in mezzo inverno S. Giuseppe vecchierello partì subito per quello la sua sposa si portò;
Un decreto imperiale chiama l'ommini soggetti pè portalli ai loghi stretti e contalli 'n quantità;
Si partì la madre coppia presentandosi alle porte arrivarono alle corti non trovarono d'alloggià;
Ed entrarono in una stalla dove erano i due giumenti lì trovarono altre genti lì decisero di star.
Origine: Canzone tradizionale della pasquarella, racconta il viaggio di Giuseppe e Maria
Arte
Una collezione di opere pittoriche che catturano l'essenza e la bellezza di Piedelpoggio attraverso gli occhi sensibili dell'artista locale Fiorella Mincinesi.
I Dipinti di Fiorella Mincinesi
Una collezione di opere pittoriche che catturano l'essenza e la bellezza di Piedelpoggio attraverso gli occhi sensibili dell'artista locale Fiorella Mincinesi. Ogni dipinto racconta una storia, un momento, un'emozione legata al nostro territorio montano.